Catania candidata a capitale italiana della cultura può essere un’occasione di democrazia culturale e coesione sociale? Forse, dipende, facciamolo

di Francesco Mannino

Come è ormai noto, il Comune di Catania per voce del sindaco Enrico Trantino e della Giunta tutta, ha comunicato l’intenzione di candidare la città al bando per il conferimento del titolo di «Capitale italiana della cultura» per l’anno 2028. La delibera di giunta, la n. 61 dell’11/04/2025, è una buona notizia e qui si proverà a spiegare perché, cominciando dalla risposta ad una domanda non scontata: ma cos’è esattamente il titolo di capitale italiana della cultura?
In estrema sintesi si tratta di un’operazione per cui lo Stato, attraverso il suo Ministero della Cultura (MiC), finanzia un comune risultato vincitore del titolo, a seguito di una selezione basata sulla qualità di un dossier di candidatura, affinché quella città realizzi un anno di programmazione culturale con il fine di stimolare «la coesione sociale, l’integrazione, la creatività, l’innovazione, la crescita, lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo» (Art. 2 del Bando MiC).
Verrà erogato un milione di euro da integrare con risorse locali, per dimostrare concretamente che le azioni culturali, se adeguatamente immaginate, programmate ed eseguite, possano avere rilevanza nella vita quotidiana di chi vive o usa le città; e non solo per incrementare la conoscenza e l’accesso al sapere, o l’attrattività turistica, ma anche per rafforzare le relazioni con le altre persone, migliorare il benessere individuale e quello della collettività, concretizzare la speranza di un cambiamento sociale ed economico del territorio.
Ma davvero le azioni culturali possono fare tutto questo?

Il potere trasformativo delle pratiche sociali a matrice culturale

Sembrerebbe di sì. In Italia – e non solo – sono numerosissime le esperienze che dimostrano un potenziale sociale dell’agire culturale. Ad esempio, non sono pochi i musei, i luoghi della cultura e le biblioteche sparsi tra grandi e piccole città che non si limitano a conservare e ad esporre opere, architetture e manufatti o a prestare libri, ma che si trasformano in agenzie educative o in spazi di aggregazione e confronto. In altri casi esistono teatri che non circoscrivono il proprio operato all’organizzazione di spettacoli e concerti, ma trasformano le competenze artistiche in laboratori che aprono le porte a chi non potrebbe permettersi mai una scuola di musica o di recitazione, o che vive una condizione di solitudine o di emarginazione sociale. In molti territori della penisola enti del terzo settore affrontano diseguaglianze e disabilità grazie a festival inclusivi, rigenerazioni a base culturale di spazi urbani degradati o dimenticati. Tutte queste pratiche accolgono chi non aveva mai partecipato a nulla del genere e che scopre di poterlo fare, di poter contare su mediatori e mediatrici capaci, di poter avere un ruolo attivo e non rimanere solo ai margini.
Leggendo il bando del Ministero, tutto questo potrebbe essere possibile anche a Catania, città metropolitana di una regione che annovera uno dei tassi di partecipazione culturale tra i più bassi d’Italia (ISTAT): in Sicilia partecipa solo il 24% della popolazione residente, contro una media nazionale di circa il 36%; la situazione è anche peggiore per le persone minori, che si attestano ad un inquietante 20% circa (Save The Children). Numeri che ci raccontano di una esclusione smisurata dalla vita culturale della popolazione siciliana (e catanese), che si traduce in una negazione al diritto di crescere consapevole, istruita, dotata di strumenti critici per affrontare la vita nel mondo intorno ad essa.
Basti pensare alla scarsissima diffusione a Catania di centri culturali, musei, biblioteche e teatri fuori dal centro storico (dove abita appena il 18% della popolazione), compensati solo da iniziative private, autogestite, e da scuole e oratori; una povertà educativa e di sani spazi pubblici e culturali in una città che, ricordiamolo, rimane profondamente caratterizzata da ampie disuguaglianze sociali.

Una visione

Ecco perché la candidatura può essere una buona notizia, anzi ottima: perché la programmazione che il Comune di Catania si appresta a redigere, che poi costituirà il dossier di candidatura, potrà fare la differenza tra la situazione attuale e un auspicabile futuro in cui le cose saranno cambiate. Come?
L’auspicio è che il dossier innanzitutto abbia la forza di esprimere una visione, che dichiari il cambiamento che l’eventuale ottenimento del titolo vorrà generare. In questa sede ci sentiamo di suggerirne una, frutto del lavoro culturale che conduciamo da più di quindici anni in una periferia del centro storico, l’Antico Corso, quartiere profondamente lacerato da contraddizioni sociali e diseguaglianze, al pari di molte altre parti della città. Ecco, una visione possibile che potrà ispirare il dossier, dovrà partire dalla consapevolezza che Catania è anche una città in cui si fa fatica a godere dei diritti all’abitare decente, all’alimentarsi sano, al corretto curarsi, al lavorare dignitoso, al vivere serenamente lo spazio pubblico e le relazioni (di genere, tra età, etnie e abilità differenti), al muoversi con i trasporti pubblici, al crescere, imparare e giocare congruo e stimolante.
Quello che ci aspetteremmo dal dossier per quartieri critici come il nostro quindi è che esso possa rappresentare l’opportunità di generare – in pochi anni dopo la capitale della cultura – non solo nuova conoscenza ma anche una nuova partecipazione culturale e civica; una partecipazione che si concretizzi in pratiche culturali collettive basate sulla collaborazione e sulla coesistenza tra le persone, al fine di riattivare fiducia e solidarietà, ingredienti trasversalmente indispensabili ad una coscienza critica e propositiva che guardi con spirito di cambiamento le condizioni in cui versa gran parte della popolazione catanese, e agisca di conseguenza.
Se da un lato la politica è chiamata ad assumersi la responsabilità di governare le città, dall’altro chi le abita può acquisire, anche grazie alle pratiche culturali, un senso di consapevolezza civica che aiuti a rendere espliciti i bisogni sociali più urgenti e prioritari; una consapevolezza che poi possa orientare le scelte della politica con coscienza e lucidità. Non si combatte la povertà educativa e l’esclusione culturale solo per riempire un bagaglio conoscitivo, ma per poter stimolare in futuro una cittadinanza più consapevole, critica, attiva, parte del cambiamento che deve portare una città verso standard di qualità della vita e della socialità davvero dignitosi. La visione proposta è questa: che le pratiche culturali contenute nel dossier possano contribuire al cambiamento del senso di collettività, e che il senso di collettività possa contribuire a pensare, volere e pretendere una nuova città a misura di umanità.

Degli obiettivi

Perché questa visione di cambiamento culturale sia davvero concretizzabile, servirà individuare obiettivi di cambiamento sociale a matrice culturale tangibili, realizzabili, permanenti, e che il dossier indichi chiaramente le azioni per raggiungerli. Il Comune di Catania da anni assume obiettivi simili con la lodevole iniziativa “Palcoscenico Catania”, che può essere adottata come punto di partenza ormai rodato.
Ad esempio, se un obiettivo del bando ministeriale è «il miglioramento dell’offerta culturale, la crescita dell’inclusione sociale e il superamento del cultural divide», si potrebbe immaginare la programmazione di attività culturali rivolte non solo a quell’esiguo numero di persone che già sono abituate a partecipare (quel 24%), ma pensate per quelle moltissime persone (il 76% della popolazione) che invece non partecipano per svariati motivi: perché non se lo possono permettere, perché le attività culturali normalmente in circolazione non sono pensate per chi ha meno abitudine a prendervi parte, perché magari non sono accessibili fisicamente o sensorialmente, perché sono solo in lingua italiana, o perché non sono dislocate nelle periferie, da cui non è sempre facile spostarsi per raggiungere i luoghi della cultura più attivi. Oppure, se un altro obiettivo è quello del «rafforzamento della coesione e dell’inclusione sociali, nonché dello sviluppo della partecipazione pubblica», ci si aspetta la programmazione non solo di attività episodiche che prevedano una partecipazione passiva delle persone, ma anche attività culturali continuative, “a bassa soglia”, che non incutano soggezione sociale, che accolgano chiunque a prescindere da condizione sociale, provenienza geografica, lingua parlata, età o abilità, identità di genere, e che sappiano coinvolgere chi parteciperà ad avere un ruolo, a prendere la parola, a collaborare con altre persone avendo la possibilità di partecipare alla produzione artistica o alla gestione culturale.

Alcuni strumenti concreti per progettare il dossier

Ci sono sicuramente diversi modi per far sì che il dossier di candidatura risponda appieno a quanto richiesto dal bando e ai bisogni di chi vive la città. Noi qui proponiamo due strade tra le tante possibili, due strade molto interconnesse tra loro.
La prima è quella di intersecare il lavoro di chi sarà parte del percorso di candidatura, consulenti, organizzazioni ed enti preposti, con gli strumenti proposti dall’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di istruzione, scienza e cultura, che nel 2019 ha pubblicato alcuni indicatori nel documento “The Thematic Indicators for Culture in the 2030 Agenda”; Agenda a cui peraltro il bando fa esplicito riferimento quando descrive i criteri di valutazione delle proposte (Art. 4).
Si tratta di indicatori estremamente utili per orientare gli obiettivi della progettazione e poi valutare l’azione sostenibile delle attività, delle pratiche e delle politiche culturali. Nel documento si fa riferimento ad esempio ad obiettivi come il migliorare le strutture culturali e gli spazi all’aperto per la cultura, avendo cura che le attività non interessino solo il centro storico e i suoi luoghi culturali ma anche le periferie, dove spesso risiede la maggior parte della cittadinanza; al sostenere le organizzazioni culturali verificando che garantiscano lavoro dignitoso per le persone impiegate; all’agevolare la spesa culturale delle famiglie; al rafforzare l’educazione al contrasto alla violenza di genere e allo sviluppo sostenibile, la conoscenza culturale e artistica multilinguistica; al garantire un pieno accesso e una partecipazione culturale attiva grazie a processi partecipativi inclusivi.
Questi elencati sono infatti tutti obiettivi che centrerebbero la richiesta del Ministero di attenersi a quelli «stabiliti dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU» (Sustainable Development Goals, SDG) facendo sì che il dossier sia credibile, fattibile, sostenibile, impattante socialmente e culturalmente sul lungo periodo.
Di seguito proponiamo degli esempi che consentirebbero al dossier che verrà redatto di poter aspirare ad un’ampia coerenza con il bando ministeriale, con gli indicatori Unesco e gli obiettivi dell’Agenda 2030, assumendo così alcuni fini precisi, misurabili e verificabili. Solo a mero titolo esemplificativo si potrebbe ad esempio: 

  • Rilevare la partecipazione prima, durante e dopo l’anno di capitale, e grazie alla programmazione culturale e artistica assumendo l’obiettivo quantitativo di un cambiamento tra una partecipazione attestata a circa il 24% della popolazione ad una accresciuta almeno al 36%, ovvero attestata alla media nazionale (indicatori Unesco 1, 2, 4, 5; SDG 9.1, 11.4, 11.7, 12.b);
  • Censire e rafforzare i servizi e gli spazi culturali esistenti, nel centro della città ma soprattutto dove sono meno presenti, ovvero nelle periferie; quindi proporre di aiutarli a divenire permanenti, e nel frattempo attivarne nuovi e accompagnarli affinché dall’anno successivo a quello del titolo ottenuto questi possano restare vivi e attivi (indicatori Unesco 1, 2, 4, 5; SDG 9.1, 11.4, 11.7, 12.b);
  • Assumere l’impegno di garantire nel programma proposto un numero significativo di attività continuative, con capacità preventivata di produrre almeno impatti culturali ed educativi (conoscenza, partecipazione, interesse, consapevolezza, collaborazione): anche questo risponderebbe ancora una volta a precisi criteri  (indicatori Unesco 13, 14. 16, 17 e 18; SDG 4.4, 4.7, 9.1);
  • Stimolare la partecipazione culturale attiva, garantendo alle persone la possibilità di prendere parola, manifestare i propri sogni e i propri bisogni, di chiedere risposte culturali e artistiche adeguate, e magari di prendere parte alla loro realizzazione (indicatori Unesco 18, 19, 20, 21 e 22; SDG 9.1, 9.c, 10.2, 11.7, 16.7, 16.10, 16.a, 16.b);
  • E infine rilevare prima di iniziare il numero di imprese culturali e creative catanesi, e il numero di persone che lavorano nel settore verificandone lo stato di salute (i contratti applicati, le retribuzioni, il rispetto dei diritti); e poi, alla fine del programma, verificare che la salute sia migliorata grazie al sostegno derivante dall’iniziativa del Comune e del Ministero (indicatori Unesco 18, 20, 21 e 22; SDG 9.1, 10.2, 16.7). 

Quelli descritti sono tutti esempi per immaginare una concreta articolazione del dossier, agganciato agli obiettivi di sviluppo sostenibile come richiesto dal bando e ai bisogni reali di una città che soffre di una cronica esclusione culturale e sociale.

Cosa intendiamo per “percorso partecipato”

La seconda strada riguarda il “processo” con cui si arriverà alla redazione del dossier. Nella delibera di Giunta, l’Amministrazione fa riferimento esplicito alla promozione di un “percorso partecipato”: ebbene, scommettere davvero sul fatto che la collaborazione della cittadinanza, di operatori, operatrici e enti del privato sociale, possa conferire al dossier una completezza e una ricchezza maggiore. Riteniamo che disegnare un loro ampio e approfondito coinvolgimento, e poi programmarlo e facilitarlo affinché la partecipazione sia davvero una sinergica convergenza di competenze e visioni, possa comportare la concreta possibilità che il dossier esprima quel grado di innovatività richiesta dal bando: questa strada potrebbe consentire al dossier di Catania di competere non solo grazie alle peculiarità della città, ma anche per la capacità dell’Amministrazione di dare voce e potere decisionale alla cittadinanza, che – in forma singola o associata – conosce molto bene le proprie esigenze ed è pronta a fare le adeguate proposte.
E questo sarebbe possibile anche ricorrendo a procedure di co-programmazione e co-progettazione previste dalla normativa sul terzo settore, peraltro più volte menzionate dall’Amministrazione; procedure che, va ricordato, vanno eseguite secondo linee guida ministeriali molto precise e dettagliate, che garantiscono la migliore qualità dei risultati e la maggiore trasparenza dell’agire pubblico. Sarà infine opportuno definire un meccanismo di monitoraggio e di valutazione dei risultati, per essere certi che l’andamento del programma rispetti le intenzioni assunte in fase di candidatura.
Le premesse e gli attori – pubblici e privati – perché il dossier sia competitivo e corrispondente alle esigenze della popolazione catanese ci sono tutte. Adesso la palla è in mano all’Amministrazione, che dovrà scegliere su quale visione scommettere e impostare le proprie scelte per imprimere a questo percorso la strada migliore, assumendosene la prima responsabilità, che poi verrà condivisa con chi la affiancherà strada facendo. Non resta che augurare buon lavoro a tutte le componenti che giocheranno questa delicata partita.

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Francesco Mannino lavora a Catania con lo staff di Officine Culturali, la cooperativa sociale di cui è co-fondatore e presidente: con il suo gruppo lavora all’ampliamento sostenibile della partecipazione culturale. Dal 2018 è membro del direttivo Federculture e dal 2020 al 2023 è stato coordinatore Sicilia di ICOM Italia. È stato consulente di Compagnia di San Paolo e lo è tuttora di Fondazione Edison Orizzonte Sociale per l’accompagnamento di progetti di contrasto a base culturale delle diseguaglianze (povertà educative e relazionali). Ha lavorato alla candidatura di Catania Capitale della Cultura 2020, e poi a quella di Palma di Montechiaro (AG) 2022. È consulente della Fondazione Scuola nazionale del patrimonio e delle attività culturali per il programma Cantiere Città Junior Edition, rivolto a persone giovani delle 10 finaliste Capitale italiana della Cultura 2026, coinvolte in una co-progettazione e esecuzione di attività culturali destinate a ventenni delle altre città.

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